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RASSEGNA DI STUDI PSICHIATRICI

FONDATA DA ANTONIO D'ORMEA

Direttore: L. D'ARGENIO

Vol. LXXXI- Fasc. n. 4 - Anno 1992 - Pagine 335-340


Regione Puglia
Unità Sanitaria Locale LE/1
Presidio Ospedaliero Psichiatrico "G. Libertini"
3º Reparto Uomini
Responsabile: Dott. A. Mazzeo

SINDROME PARANOIDEA E DISORDINE SCHIZOAFFETTIVO:
RIFLESSIONI SU UNA ESPERIENZA CLINICA

Antonia Occhilupo* Andrea Mazzeo*

*Risp. Aiuto ed Assistente del 3º Rep. Uomini del P.O. Psichiatrico "G.Libertini" di Lecce.
Il lavoro spetta agli autori in parti uguali.


Gli autori riportano alcuni spunti di approfondimento, soprattutto di orientamento diagnostico- prognostico, riguardo una situazione clinica attualmente oggetto di una maggiore attenzione da parte degli psichiatri.

Si tratta del controverso capitolo delle psicosi schizoaffettive. Il termine "schizoaffettivo", coniato da Kasanin nel 1933, almeno apparentemente, mette in crisi la dicotomia kraepeliniana tra Dementia Praecox e Disordini Affettivi e postula l'esistenza di un'area di intersecazione tra i due campi.

Depressione e schizofrenia per Nardini e Rossi Monti (1989) sono congiunte da innumerevoli ponti e talora vedere sintomi depressivi e/o schizofrenici nello stesso paziente può significare descrivere diversamente una stessa realtà clinica: il sintomo depressivo si colloca sullo sfondo della "schizofrenia che guarisce", il sintomo schizofrenico sullo sfondo di una malattia a decorso cronico e tendenzialmente deteriorante.

Il punto fondamentale che mette in crisi il sistema nosografico è in realtà la contemporanea presenza di sintomi affettivi e sintomi paranoidei. Il profilo dell'acuzie è dato dallo stato schizoaffettivo, ma ciò non vuol dire che questo rappresenti il quadro finale. Ecco perché oggi si preferisce parlare di "posizione schizoaffettiva" che è "un modo di essere del paziente nell'acuzie" che può preludere a condizioni diverse: alla depressione se i sentimenti di vergogna e di colpa verranno introflessi, alla sindrome paranoidea se verranno estroflessi (Muscatello e coll., 1987; Ballerini e Rossi Monti, 1990). Gli esiti sono diversi: angoscia, colpa, persecuzione, con un oscillare continuo tra l'angoscia interiore e i significati persecutori paranoidei. Solo nel tempo, in seguito ad un rapporto longitudinale con il paziente, si può parlare di "sindrome schizoaffettiva" e non più solo di "posizione".


Caso clinico
Il caso clinico che discuteremo riguarda un pazienie di 65 anni, più volte ricoverato in Ospedale Psichiatrico con la diagnosi di schizofrenia paranoide. In realtà riesaminando la cartella clinica e seguendo il paziente da circa due anni si potrebbe supporre una sindrome clinica inquadrabile in una forma schizoaffettiva. In essa in fatti sono chiaramente associati elementi della serie depressiva e della serie schizofrenica.

Il paziente si sente oggetto di scherno, di ostilità, di accuse, di complotti orditi a suo danno: si cerca di avvelenarlo, di spiarlo, di coinvolgerlo in intrighi politici. I suoi persecutori sono sempre personaggi ben identificati e provengono dal suo paese di origine, dagli ambienti in cui è vissuto in questi ultimi anni (Casa Famiglia, Ospedale Psichiatrico). Egli ha l'esperienza di vivere in un mondo preparato apposta per lui, per esaminarlo, spiarlo, un mondo in cui è condannato alla completa passività. Il paziente sente e crede che tutto ruoti intorno a lui, non solo le persone a lui legate ma anche il personale medico e paramedico, gli sconosciuti, le voci della televisione, tutto. Egli si trova assediato e coartato dal mondo che gira intorno a lui e per lui. Peraltro il paziente ha sempre mantenuto un certo rapporto con il mondo che gli consente un contatto affettivo e dialogico con la realtà oggettiva, anche se in maniera distorta.

Il paziente presenta periodi più o meno stabili di delirio florido associati ed alternati a periodi di improvviso calo del tono dell'umore con abulia, astenia, propositi suicidari, delirio ipocondriaco. Si assiste quasi ad una progressiva, anche se mai definitiva, lisi del delirio con uscita psicotica depressiva. È come se il paziente, sopraffatto dall'angoscia psicotica, si trovasse impegnato e assediato su due fronti: quello reale esterno e quello fantasmatico interno. A questo punto non gli è più concessa alcuna modalità difensiva perché ambedue i mondi non offrono punti di appoggio. Il suo unico varco possibile è l'esperire depressivo di annullamento, come se lo stato depressivo punteggiasse e/o frenasse l'evoluzione schizofrenica. Il decorso, infatti, non è stato quasi mai a poussées con remissioni più o meno prolungate. Le tematiche deliranti sono sempre floride e il paziente vive con tenace aderenza tali idee. Il delirio cioè, pur essendo cronico, non è cristallizzato, incistato, più ermetico e meglio tollerato ma invade il vissuto esperenziale ed esistenziale del paziente. Né si è assistito, finora, ad una evidente disgregazione della personalità; egli, malgrado la lunga istituzionalizzazione e il suo essere immerso nel delirio, mantiene un certo rapporto, seppure distorto, con la realtà.

Il tono dell'umore è depresso con pensieri ricorrenti di morte, di suicidio, con idee deliranti di malattia inguaribile, di trasformazione corporea di alcuni organi, con diminuzione dell'appetito e perdita di peso, rallentamento psicomotorio, astenia profonda, perdita di interessi, incessante lamentosità, ansietà, insonnia. Non compare coscienza di malattia e il paziente rimane profondamente convinto e ancorato al suo mondo delirante.

Per la terapia ci siamo avvalsi della somministrazione di neurolettici, anche depôt, e di antidepressivi triciclici e atipici. Scarsa è la risposta al trattamento poiché scarsa è la compliance del malato; anche Nardini e Rossi Monti (1989) sottolineano come il disturbo affettivo accompagnato da deliri e/o allucinazioni "mood incongruent" è a prognosi più incerta e con spiccate difficoltà di trattamento. Migliore efficacia terapeutica l'abbiamo ottenuta con l'associazione di aloperidolo decanoato e fluvoxamina. A gennaio '92 il paziente, infatti, ha ricominciato a presentare idee depressive, con sentimenti di colpa e di autosvalutazione ("... ho causato del male... non valgo più niente... sparatemi") con associate tipiche idee di riferimento e di persecuzione ("... gli infermieri mi odiano, la suora mi mette gli stupefacenti nella minestra, le sigarette sono drogate..."). Con la somministrazinne del neurolettico long-acting e della fluvoxamina si è ottenuta una graduale attenuazione dell'ideazione depressiva e dei propositi suicidari, fino alla scomparsa, e si è notata anche una minore pregnanza dei nuclel ideativi paranoidei.

Alcuni Autori parlano di "schizofrenia distimica" (termine citato da Ey e coll., 1990) nel caso di psicosi nelle quali l'evoluzione schizofrenica è costellata di episodi ansioso-depressivi o di impronta maniacale, con presenza di idee deliranti, sindrome di influenzamento, alterazioni della coscienza associate a crisi di angoscia, umore melanconico e talvolta euforico od eccitato.

Oggi si preferisce parlare di "disturbo schizoaffettivo". Il disordine schizoaffettivo, secondo Maj e Perris (1985), può essere di due tipi: tipo I o diacronico con comparsa successiva e indipendente di una sindrome affettiva e di una schizofrenica, o viceversa, meno frequente; tipo II o sincronico con comparsa contemporanea, nel medesimo episodio, di una sintomatologia di tipo affettivo e di una di tipo schizofrenico, più frequente.

Due sono le trattatistiche più frequentemente utilizzate nelle ricerche riguardanti i disordini schizoaffettivi:
- Research Diagnostic Criteria (RDC) (Spitzer e coll., 1975);
- DSM III (198()) - DSM III R (1987).

Negli RDC il disordine schizoaffettivo viene suddiviso in disordine schizomaniacale e schizodepressivo. Maj e Kemali (1990) riportano in maniera dettagliata gli RDC proposti per la diagnosi di disordine schizoaffettivo.

Per la diagnosi di disordine schizomaniacale, si richiede la presenza dei seguenti aspetti:

  1. un umore elevato o irritabile;
  2. almeno tre dei seguenti sintomi: iperattività, logorrea, fuga delle idee, grandiosità, diminuito bisogno di sonno, distraibilità, coinvolgimento in attività comportanti un rischio elevato di conseguenze spiacevoli;
  3. almeno uno dei seguenti sintomi indicativi di una condizione schizofreno-simile: deliri di influenzamento, o esperienze di diffusione, inserzione o furto del pensiero; allucinazioni di qualunque tipo durante l'intera giornata per più giorni o intermittentemente per una settimana, il cui contenuto non sia chiaramente riconducibile all'alterazione del tono dell'umore; allucinazioni uditive consistenti in voci che commentano le azioni o i pensieri del paziente oppure in due o più voci che conversano tra di loro; presenza di deliri o allucinazioni per più di una settimana in assenza di sintomi affettivi; presenza per più di una settimana di disturbi formali del pensiero in assenza di sintomi affettivi;
  4. durata dell'episodio di almeno una settirnana;
  5. sovrapposizione temporale tra i sintomi affettivi e i sintomi schizofreno-simili.
Per la diagnosi di disordine schizodepressivo, si richiede la presenza dei seguenti aspetti:
  1. depressione del tono dell'umore preminente e relativamente persistente;
  2. almeno cinque dei seguenti sintomi: diminuzione o aumento dell'appetito o del peso, insonnia o ipersonnia, perdita di energia o affaticabilità, rallentamento o agitazione psicomotoria, perdita di interesse o piacere per le attività abituali, sentimenti di autodenigrazione o colpa eccessiva, lamentele o segni di una diminuita capacità di riflettere o concentrarsi, pensieri ricorrenti di morte o suicidio.
    È richiesta inoltre, la presenza degli aspetti elencati in c), d), e) per il disordine schizomaniacale.
Per il caso clinico da noi descritto l'orientamento diagnostico, seguendo la classificazione RDC, sarebbe quello di disordine schizoaffettivo di tipo schizodepressivo poiché nella storia clinica non si sono individuati periodi di sindrome maniacale.

Il DSM III (1980) e il DSM III-R (1987) includono il disturbo schizoaffettivo nel capitolo dei disturbi psicotici non classificati altrove. Nel DSM III la categoria è riportata senza criteri diagnostici per quelle situazioni in cui non si può porre con sufficiente attendibilità una diagnosi differenziale tra Disturbo Affettivo e Disturbo Schizofreniforme o Schizofrenia. Mentre il DSM III dà una definizione per lo più negativa e siglata da incertezza diagnostica, ponendo maggiormente l'accento sulla diagnosi differenziale tra quadri clinici diversi e sulla incongruenza tra tono dell'umore e sintomi produttivi, il DSM III-R stabilisce dei criteri precisi per poter formulare la diagnosi di disturbo schizoaffettivo:

  1. Un disturbo durante il quale, ad un certo momento, vi è una sindrome maniacale o depressiva maggiore concomitante a sintomi che soddisfano il criterio A della schizofrenia.
  2. Durante un episodio del disturbo si sono manifestati per almeno due settimane deliri o allucinazioni, ma non rilevanti alterazioni dell'umore.
  3. La schizofrenia è stata esclusa, cioè la durata di tutti gli episodi di alterazione dell'umore non è stata breve rispetto alla durata totale del disturbo psicotico.
  4. Non può essere provato che un fattore organico ha causato e mantenuto il disturbo.
    Specificare: tipo bipolare (sindrome maniacale in atto o pregressa) o tipo depressivo (nessuna sindrome maniacale in atto o pregressa).
Per il caso da noi citato, riferendoci al DSM III-R, si tratterebbe di un disturbo schizoaffettivo di tipo depressivo.

Secondo Clayton (1982) gli stati schizoaffettivi dovrebbero essere distinti per polarità affettiva: i pazienti schizoaffettivi maniacali manifestano aspetti familiari, sintomatologici, evolutivi e di risposta al trattamento simili ai pazienti con disturbi affettivi bipotari; i pazienti schizoaffettivi depressi appaiono invece più eterogenei, alcuni di essi sono collegati alla depressione maggiore, altri alla patologia schizofrenica e costituiscono, nella opinione di Akiskal (1983) gli unici pazienti definibili "schizoaffettivi".

Per Ballerini e coll. (1983) il modello del disordine schizoaffettivo è il più stimolante proprio perché propone la problematicizzante contemporaneità di fenomeniche divergenti, che ora sembrano più coagularsi intorno al polo schizoparanoideo, in un altro momento intorno a quello depressivo.

In definitiva, da categoria marginale il disturbo schizoaffettivo ha assunto nel tempo una propria dignità separata sia dai disturbi dell'umore che dalla schizofrenia. Attualmente è ritenuto e proposto operativamente come una "area intermedia" della nosografia psichiatrica.


Riassunto

Gli autori affrontano il problema delle sindromi schizoaffettive e discutono alcuni aspetti psicopatologici, diagnostici e terapeutici anehe alla luce della propria esperienza clinica.


Summary

The AA deal with the problem of schizoaffective syndromes and discuss some psychopathological, diagnostic and therapeutic aspects also in the light of personal clinical experience.

Résumé

Les AA abordent le problème des syndromes schizoaffectifs et discutent de certains aspects psychopathologiques, diagnostiques et thérapeutiques en se basant également sur l'expérience clinique.


Bibliografia

Akiskal H.S. - The question of schizoaffective psychosis. Psychiatry Update, A.P.A., Washington, D.C., 1983.

American Psychiatric Association - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3a ed., Washington, DC., 1980.

American Psychiatric Association - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3a ed. Revised, Washington, DC., 1980.

Ballerini A., Ballerini A.C. e coll. - Disordine schizoaffettivo e problema del delirio transitorio, in "Diagnosi e classificazione dei disturbi affettivi in rapporto al DSM III", II Riunione Biennale del P.T.D. Committee, Firenze, Geigy Farmaceutici, 1983.

Ballerini A., Rossi Monti M. - La vergogna e il delirio. Bollati Boringhieri, Torino, 1990.

Clayton J.P. - Schizoaffective disorders. J. Nerv. Ment. Dis., 170, 1982.

Ey H., Bernard P., Brisset C. - Manuale di Psichiatria. Masson, Milano, 1990.

Kasanin J. - The acute affective psychoses. Am. J. Psych., 13, 1933.

Maj M., Kemali D. - I disordini schizoaffettivi, in "Psichiatria Medica". Cassano G.B., UTET, Torino, 1990.

Maj M., Perris C. - An approach to the diagnosis and classification of schizoaffective disorders for research purposes. Acta Psych. Scand., 72, 405, 1985.

Muscatello C.,Ballerini A.C. e coll. - Le sindromi scchizoaffettive. Relitto nosograjico o modello psicopatologico? Quad. Ital. Psichiat., 6, 4, 1987.

Nardini M., Rossi Monti M. - La schizoaffettivitá come modello operativo di area intermedia nella conoscenza della psicosi, in "New Trends in schizophrenia", Migone P., Martini G., Volterra V., Fond. Centro Praxis, Caserta, 1989.

Spitzer R.L., Endicott J., Robins E. - Research Diagnostic Criteria (RDC) for a selected group of functional disorders. Biometrics Research, New York, 1975.

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