FONDATA DA ANTONIO D'ORMEADirettore: L. D'ARGENIOVol. LXXXV - Fasc. n. 1 - Anno 1996 - Pagine 39-46 |
*Risp. Aiuto ed Assistente del 3º Rep. Uomini del P.O.
Psichiatrico "G.Libertini" di Lecce.
Il lavoro spetta agli autori in parti uguali.
L'esigenza di una riabilitazione psico-sociale è stata da noi sentita sin dall'inizio del lavoro nel 3º Reparto Uomini del P.O. Psichiatrico "G. Libertini"; in questo Presidio, come del resto in altri ex-O.P., gli anni post-180 sono stati caratterizzati da uno stato di "nichilismo assistenziale" verso i ricoverati (tanto da far affermare ad uno dei primari anziani che i medici in O.P. erano "i custodi della buona morte"), con assenza di attività riabilitative e risocializzanti, se si escludono sporadiche iniziative di tipo ludico-ricreativo di cui potevano beneficiare però solo pazienti non molto deteriorati e sufficientemente autonomi; la maggioranza dei ricoverati ha continuato a vivere in condizioni di autentica deprivazione sociale e relazionale. Nel nostro reparto solo 2-3 pazienti uscivano o partecipavano alle attività ludiche, gli altri trascorrevano da decenni le loro giornate all'interno.
Da parte dei Direttore Sanitario venivano nutrite delle notevoli aspettative per l'avvio di attività riabilitative (uno di noi aveva realizzato nel 1980 la prima casa famiglia della provincia di Lecce e l'altro proveniva da una realtà molto avanzata in senso riabilitativo e da esperienze specifiche nel settore).
Cominciammo a lavorare in questa direzione fra lo scetticismo del personale infermieristico del reparto e quello dei colleghi degli altri reparti. I risultati di questo lavoro sono stati oggetto di precedenti note (Mazzeo e Occhilupo,1995).
Il nostro primo obiettivo fu ovviamente quello di far uscire dal reparto il maggior numero di pazienti, e questo non rappresentò un ostacolo, superate le inevitabili resistenze iniziali di alcuni, quasi timorosi di "varcare la soglia" del reparto; anche la partecipazione alle attività ludiche di qualche paziente più turbolento non fu un difficile problema, poiché vi partecipava volentieri e senza creare difficoltà.
Là dove i nostri sforzi letteralmente si infrangevano era nell'approccio ai pazienti più deteriorati (gravi insufficienti mentali e schizofrenici cronici difettuali, per usare la terminologia classica); ed ogni nostro sforzo per escogitare modalità di approccio riabilitative (attività di disegno, ri-orientamento temporale mediante calendari, ecc.) finiva con l'essere privo di senso.
Privo di senso perché, ovviamente, i pazienti non offrivano alcuna collaborazione, restandosene inerti ed apatici di fronte alle iniziative proposte; privo di senso (ce ne rendemmo conto in seguito) perché queste modalità di approccio partivano dal concetto di migliorare il funzionamento nell'istituzione, esattamente il contrario di ciò che si intende per riabilitazione psicosociale, e pertanto non potevamo pretendere la "compliance" (nel senso di condiscendenza, acquiescenza) dei pazienti.
A causa del grave stato di destrutturazione psichica della maggior parte dei degenti, ma anche va detto per l'assenza di figure professionali qualificate in ambito riabilitativo, abbiamo incontrato delle difficoltà ad applicare i modelli di riabilitazione cognitivo-comportamentale (Liotti e coll., 1984) ed il modello psico-sociale di Spivack (Spivack, 1987; Spivack, l990; Spivack, 1992) od altri approcci di tipo psicoeducazionale o sistemico (Burti e coll., 1990).
Vennero attivati, a cura della Direzione Sanitaria, dei corsi di "preorientamento e formazione professionale" gestiti dall'E.N.A.I.P., ma furono pochi i pazienti che vi parteciparono.
Da parte nostra cominciammo a lavorare sul concetto che più che l'aumento delle competenze sociali, per i nostri ricoverati andava perseguito l'obiettivo «dell'aumento dell'articolazione sociale» (Spivack, l994). In parole povere, ad una persona che sappia "fare" molte cose ma riesca a farle solo in ospedale è preferibile una persona che sappia "fare" poche cose ma che quelle poche le faccia fuori dall'ospedale.
Il problema che ci siamo posti è stato quello di realizzare delle attività che si ponessero degli obiettivi limitati ma concreti, miranti all'aumento dell'articolazione sociale, alla esplorazione di sempre più ampi "segmenti di realtą estema". Come scrivono Calvano e coll. «compito della riabilitazione è quello di aumentare l'articolazione sociale dell'individuo con l'ambiente» (Calvano, Blasi e coll., 1992).
Abbiamo preliminarmente proposto alla Direzione Sanitaria la suddivisione dei ricoverati per area di degenza, in applicazione di una deliberazione della Giunta Regionale (Regione Puglia, 1987) e poi per tipologia assistenziale, come previsto dal Progetto-Obiettivo Nazionale (G.U., 1994). In tal modo avremmo avuto dei reparti omogenei per tipologia di ricoverati e per patologia prevalente (internistico-geriatrica, psichiatrica, riabilitativa) al fine di operare con maggiore razionalità e soprattutto per evitare ai degenti i rischi alla propria incolumità derivanti dalla convivenza nello stesso reparto di anziani ultrasettantenni con giovani impulsivi e violenti. La risposta della Direzione Sanitaria a queste proposte è stata quella della svalutazione del nostro lavoro e della minaccia di chiusura del reparto.
La condizione di assoluta immobilità manicomiale è stata interrotta solo da qualche mese con il realizzarsi improvviso di numerose dimissioni, collocando i pazienti in improvvisate case di riposo gestite da privati, addirittura sprovviste di autorizzazione regionale.
La nostra posizione non è certo contraria alle dimissioni, purché ai pazienti vengano assicurate dignitose condizioni di vita nelle strutture alternative, con il controllo dei servizi psichiatrici pubblici; ma questo obiettivo primario non ci deve far dimenticare che vi sono ancora pazienti non dimissibili per i quali occorre pensare prima ad una riabilitazione, che li ponga successivamente in condizioni di dimissibilità.
Da questi concetti si è fatta strada l'idea di un progetto per la riabilitazione psicosociale di pazienti gravemente desocializzati, che illustriamo di seguito.
Il nostro progetto si articola per obiettivi, strutturato mediante un obiettivo principale (OBIETTIVO RIABILITATIVO GENERALE - O.R.G.) che rappresenta il percorso riabilitativo da compiere con il paziente e che si svolge mediante una serie di tappe riabilitative (OBIETTIVI RIABILITATIVI SPECIFICI - O.R.S.); gli O.R.S. sono articolati in maniera gerarchica, dal più semplice al più complesso, sino al raggiungimento dell'O.R.G.
Per ciascun paziente, o per gruppi di pazienti, si programmano dei Piani Riabilitativi, Individualizzati (P.R.I.) e/o di Gruppo (P.R.G.); ciascun Piano Riabilitativo comprende uno o pił O.R.G.
Riteniamo utile descrivere un P.R.G. elaborato per un gruppo di 4-6 pazienti.
Piano Riabilitativo di Gruppo (P.R.G.)VERIFICA - Il medico e l'assistente sociale si assicurano periodicamente che il lavoro sia utile per i pazienti coinvolti ai fini del raggiungimento dell'O.R.G.; riuniscono gli operatori per raccogliere pareri, suggerimenti, consigli, critiche, dubbi; riuniscono il gruppo per valutare il grado di raggiungimento dell'O.R.G. (es.: drammatizzazione, disegni, ecc.).
SECONDO OBIETTIVO RIABILITATIVO GENERALEVERIFICA - È simile a quella del primo O.R.G.
TERZO OBIETTIVO RIABILITATIVO GENERALEVERIFICA - Periodicamente il medico e l'assistente sociale verificano il grado di conoscenza del denaro raggiunto dai pazienti e la loro capacità di gestione dello stesso; raccolgono suggerimenti, critiche, dubbi, osservazioni degli operatori.
QUARTO OBIETTIVO RIABILITATIVO GENERALEVERIFICA - Periodicamente l'équipe si riunisce per valutare il grado di socializzazione raggiunto dai pazienti e di partecipazione al raggiungimento dell'O.R.G., raccogliendo dagli operatori suggerimenti, critiche, ecc. L'équipe contatta gli operatori del centro frequentato dai pazienti per ottimizzare gli interventi, tramite suggerimenti, critiche, ecc.
Per la determinazione degli O.R.G. ci siamo serviti della osservazione protratta dei pazienti che ci ha consentito di valutare quali aree della socializzazione fossero carenti e quindi di mettere a punto un progetto riabilitativo per colmare le carenze sociali. Stiamo lavorando alla preparazione di strumenti di valutazione delle carenze sociali, del tipo rating scale.
Questo progetto non ha grosse pretese né si propone di sostituire modelli riabilitativi pił consolidati. Vuole semplicemente essere un nostro contributo alla attuazione di programmi concreti di riabilitazione psico-sociale per pazienti gravemente desocializzati, ospedalizzati o meno, che presentino scarsa adesione ad altri programmi. È stato presentato alla Direzione Sanitaria nel marzo '95, ma sinora non è stato ancora approvato, per cui non abbiamo avuto la possibilità di attuarlo.
Gli autori concludono con il lavoro sulla riabilitazione la loro esperienza di razionalizzazione assistenziale in un reparto dell'ex-O.P. di Lecce. Espongono il progetto messo a punto per la riabilitazione psico-sociale di pazienti gravemente desocializzati. Tale progetto si attua mediante Obiettivi Riabilitativi Generali (il percorso riabilitativo), ed Obiettivi Riabilitativi Specifici (le singole tappe di tale percorso).
The authors conclude, by the work on rehabilitation, their experience on rationalist assistence in a ward of the ex-Mental Hospital. They expound the project restated for a psychosocial rehabilitation of patients seriously desocialized. This project is effected through Objectives of General Rehabilitation (the course of rehahilitation), and the Objectives of Specific Rehabilitation (every single step of this course).
Les auteurs concluent, par ce travail de réhabilitation, leur experience de rationalisation d'assistence dans un service de l'ex-Hospital Psychiatrique. Ils expliquent le projet mis au point pour la réhabilitation psycho-sociale des malades gravement désocializés. Tel projet se réalize par de Objectifs de Réhabilitation Générale (le parcours de réhahilitation), et des Objectifs de Réhabilitation Spécifiques (chaque étape de tel parcours).
Burti L., Siani R., Siciliani O. - Riabilitazione psicosociale, in: "Atti del i Congresso Nazionale della S.I.R.P.", Franco Angeli, 1990.
Calvano R., Blasi F., Torello M.F et al. - La riabilitazione psicosociale come strategia di lavoro sul territorio: riferimenti ad una esperienza di gruppo, NPS, XII, 6, 1083-1094, 1992.
Gazzetta Ufficiale - D.P.R. 7/4/94, G.U. n. 93 del 22.4.1994.
Liotti G., Delzotti L., Iannuci C. et al. - La terapia della Schizofrenia nella prospettiva cognitivo- comportamentale, Riv. Psich., 19, 438-457, 1984.
Mazzeo A., Occhilupo A. - Progetto di razionalizzazione assistenziale in un padiglione dell'ex-O.P. di Lecce. 1a parte: nosografia e clinica, Rass. St. Psich., LXXXIX, 1, 73-78, 1995.
Regione Pugia - Deliberazione nº 620/87, Boll. Uff. nº 194 del 13.11.1987.
Spivack M. - Introduzione alla riabilitazione psicosociale: teoria, tecnologie e metodi di intervento, Riv. Sper. Fren., CXI, 527-575, 1987.
Spivack M. - La riabilitazione psicosociale: che cosa è, in: "Riabilitazione psicosociale, Atti del 1º Congresso Nazionale della S.I.R.P.", Franco Angeli, 1990.
Spivack M. - Lo scopo della riabilitazione sociale: ampliare l'articolazione sociale nel mondo esterno. Lettura magistrale del Convegno Internazionale di Psichiatria "I percorsi della riabilitazione: verso un approccio integrato", Lecce 30.9 e 1.10.1994.
Spivack M., Omer H. - Un modello interpersonale per capire e neutralizzare i processi cronici nei pazienti psichiatrici, Riv. Sper. Fren., CXVI, 2, 179-202,1992.